C’è un tempo per costruire, e un tempo per rivedere le fondamenta.
Con la proposta di bilancio 2028–2034, l’Unione Europea si prepara a riscrivere profondamente il proprio modo di investire. Non solo più fondi, ma fondi diversi. Non solo più risorse, ma nuove regole. E, soprattutto, una filosofia di fondo che cambia direzione: dal contributo automatico al risultato dimostrato, dalla programmazione frammentata alla visione strategica condivisa.
Per l’Italia si apre una sfida delicata e cruciale: quella di non rimanere ancorata a modelli del passato, ma di sapersi adattare — in fretta — a un’Europa che chiede più capacità progettuale, più visione e più coraggio.
Un bilancio senza precedenti. Ma con regole nuove.
La Commissione ha messo sul tavolo un bilancio da 2.000 miliardi di euro, il più alto mai immaginato. Ma attenzione: non si tratta di un semplice aumento di fondi. A cambiare è l’intera architettura del sistema europeo di finanziamento.
I programmi scendono da 52 a 16. Scompaiono i vecchi contenitori regionali. E, soprattutto, ogni Paese dovrà presentare piani nazionali con obiettivi precisi, scadenze, risultati verificabili. Non più, dunque, contributi distribuiti a prescindere: le risorse si sbloccano solo se si dimostra di aver fatto bene.
È il modello PNRR che viene esteso all’intero bilancio europeo. Un modello che l’Italia conosce, ma che non sempre è riuscita a governare con efficacia.
L’Italia: tra vantaggio competitivo e ostacoli strutturali
Sulla carta, il nostro Paese potrebbe trovarsi in vantaggio. Il PNRR ha già costretto lo Stato centrale, i ministeri, gli enti locali, le imprese e il Terzo Settore a misurarsi con milestone, rendicontazioni, piattaforme digitali e cronoprogrammi rigorosi.
Ma il salto di qualità richiesto per il prossimo settennato sarà ancora più radicale.
Scompaiono i POR, si riduce il ruolo delle Regioni, si accentua la responsabilità dello Stato. E i fondi non saranno più “erogati”, ma “guadagnati” sulla base dei risultati.
Questo significa, per l’Italia, ripensare completamente la governance della programmazione europea. Significa, per i territori, non aspettare più che le risorse arrivino da sé, ma essere parte attiva nella costruzione dei piani. E significa, per chi fa consulenza pubblica, assumere un nuovo ruolo: quello di facilitatore del cambiamento.
Fine del regionalismo europeo? Non proprio, ma…
Chi ha lavorato negli ultimi vent’anni con i fondi europei conosce bene la mappa dei POR: FESR, FSE+, PSR. Ogni Regione, ogni linea d’azione, ogni asse.
Quel mondo sta per essere archiviato.
La Commissione propone una gestione nazionale dei fondi, in cui le Regioni avranno un ruolo consultivo ma non più titolare. I programmi saranno meno, ma più ambiziosi. Più chiari, ma più vincolanti.
E se da un lato questo potrà ridurre la frammentazione, dall’altro rischia di diluire la voce dei territori più piccoli o periferici. Il Mezzogiorno, in particolare, dovrà trovare nuovi strumenti per far valere le proprie priorità all’interno di piani nazionali unificati.
La nuova agenda europea: meno PAC, più difesa, più innovazione
Nel nuovo bilancio ci sono priorità nette. La spesa militare aumenta in modo esponenziale. I fondi per la cybersicurezza e la mobilità strategica crescono. La PAC (Politica Agricola Comune) viene razionalizzata, con meno trasferimenti diretti e più vincoli “verdi”.
In compenso, l’Europa promette di puntare su energia, tecnologia, spazio, cultura e diritti. Nascono nuovi strumenti per finanziare le transizioni digitali e ambientali, per sostenere l’inclusione, per valorizzare l’innovazione sociale.
Ma saranno strumenti competitivi, aperti a chi saprà progettare meglio. E ancora una volta, l’Italia sarà chiamata non solo a partecipare, ma a convincere.
E adesso? Il tempo della preparazione
Il bilancio 2028–2034 entrerà in vigore fra qualche anno. Ma le decisioni vere si prendono ora.
Già nel 2025 e 2026 si definiranno:
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la struttura dei piani nazionali;
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i criteri di selezione;
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le modalità di monitoraggio;
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i nuovi partenariati pubblico-privati.
Chi si muove in anticipo potrà contribuire a orientare il futuro della programmazione. Chi resta fermo, rischia di arrivare tardi e male.
Il ruolo di OMeGA: visione strategica, strumenti concreti
Noi di OMeGA siamo abituati a guardare avanti.
Lo facciamo ogni giorno accompagnando Comuni, Regioni, fondazioni, enti del Terzo Settore e imprese in un lavoro complesso ma decisivo: trasformare le opportunità in strategie, e le strategie in progetti reali, sostenibili, finanziabili.
Nel nuovo scenario europeo, serve più che mai:
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consulenza tecnica, ma anche visione politica;
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progettazione puntuale, ma anche capacità di ascolto;
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padronanza delle norme, ma anche intuizione del contesto.
L’Europa cambia. Anche l’Italia dovrà farlo. E OMeGA è pronta ad accompagnare chi vuole farlo bene, e in tempo.