Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) rappresenta la più grande occasione di investimento pubblico mai avuta dal nostro Paese negli ultimi decenni. Con oltre 190 miliardi di euro complessivi, distribuiti tra sovvenzioni e prestiti europei, il PNRR ha promesso di modernizzare infrastrutture, rafforzare i servizi pubblici e rilanciare la crescita economica.
Ma il tempo stringe: la Commissione Europea ha fissato un termine inderogabile al 31 agosto 2026 per completare gli interventi. Ogni euro non speso entro quella data sarà perso. Una scadenza che oggi appare sempre più critica.
Dove siamo oggi
Il Governo italiano sta lavorando alla rimodulazione della nona e della decima rata del Piano, le ultime due tranche di risorse, che valgono circa 35 miliardi di euro. Bruxelles ha già segnalato che diversi obiettivi intermedi e finali non potranno essere raggiunti nei tempi originariamente stabiliti.
Secondo le analisi più recenti, i settori più esposti al rischio ritardo sono:
-
Scuola e istruzione – in particolare la costruzione di asili nido e scuole dell’infanzia, che soffrono per la lentezza dei bandi e dei cantieri.
-
Università – il programma per la creazione di 60.000 posti letto per studenti ha ricevuto domande in numero superiore alle attese, ma i tempi di realizzazione delle strutture superano ampiamente il 2026.
-
Transizione ecologica ed energia – molte misure ambientali sono in ritardo, come le comunità energetiche rinnovabili, l’agrivoltaico, il biometano e i progetti sull’idrogeno verde, complicati da iter autorizzativi e connessioni alle reti.
-
Sanità – il rafforzamento della medicina territoriale e l’apertura di Case e Ospedali di Comunità hanno visto una partenza lenta, con difficoltà sia nella progettazione edilizia sia nel reperimento del personale.
-
Rigenerazione urbana – interventi molto diffusi sui territori comunali, ma che risentono della complessità delle procedure locali e delle difficoltà di cofinanziamento.
Il rischio concreto
Se questi interventi non saranno completati nei tempi, il Paese rischia di perdere miliardi di euro già stanziati. Non si tratta solo di risorse finanziarie: sono servizi attesi da famiglie, studenti, imprese e comunità locali. La mancata conclusione di questi progetti significherebbe rinunciare a nuove scuole per l’infanzia, a posti letto per gli studenti, a energie pulite, a infrastrutture sanitarie di prossimità.
Inoltre, i ritardi mettono in difficoltà gli enti locali, molti dei quali hanno già avviato bandi o cantieri contando sui fondi del PNRR. Per loro, il rischio di definanziamento si tradurrebbe in opere sospese, contenziosi e bilanci comunali sotto stress.
La domanda cruciale
Il nodo è chiaro: come salvare gli interventi in ritardo senza perdere i fondi europei?
Il Governo, insieme alla Commissione Europea, sta lavorando a una strategia che consenta di guadagnare tempo e ridare respiro ai progetti più complessi. Non si tratta di prorogare formalmente la scadenza (cosa che Bruxelles non permette), ma di trovare strumenti intelligenti e alternativi per ricollocare o congelare le risorse.
➡️ Nel prossimo approfondimento vedremo quali sono i due principali “salvagenti” oggi sul tavolo: il trasferimento dei progetti sui fondi di coesione e l’attivazione delle cosiddette facility, strumenti finanziari che permettono di proiettare le spese fino al 2029.



